Vint la vie : une humidité sophistiquée, promise à un destin inextricable ; et chargée de secrètes vertus, capable de défis, de fécondité. […] Turbulente, spasmodique, une sève, présage et attente d’une nouvelle manière d’être, qui rompt avec la perpétuité minérale, qui ose l’échanger contre le privilège ambigu de frémir, de pourrir, de pulluler.
[…] Naissance de toute chair irriguée d’une liqueur, telle la pommade blanche qui gonfle la boule de gui ; telle, dans la chrysalide, la purée intermédiaire entre la larve et l’insecte, la gélatine indistincte et qui sait seulement trembler, avant que ne s’y éveille le goût d’une forme précise, d’une fonction personnelle.
Rapidement, s’ajoute la première domestication du minéral, les quelques onces de calcaire ou de silice qu’il faut à une matière flottante et menacée pour se construire une protection ou un support : au-dehors, coquilles et carapaces, vertèbres au-dedans, tout de suite articulées, adaptées, usinées dans le moindre détail. Minéraux transfuges, tirés de leur torpeur, apprivoisés à la vie et sécrétés par elle, ainsi frappés de la malédiction de croître – il est vrai, le temps d’un sursis vite expiré.
[…] Une alchimie opiniâtre, usant d’immuables modèles, ménage sans se lasser à une chair toujours neuve un autre asile ou un autre soutien. Chaque abri délaissé, chaque poreuse charpente tombent au long des siècles et des siècles des siècles en une longue pluie de semences stériles. Ils s’étagent en une boue presque toute faite d’eux-mêmes, qui durcit et qui redevient pierre.
Roger Caillois, L’Écriture des pierres, 1970
Roger Caillois chiude L’Écriture des pierres con una breve cosmogonia dal titolo « Entrée de la vie. L’autre écriture ». Qui il Mondo, e in particolare la vita, sembrano trarre origine non tanto nel modello biogenetico, secondo cui la vita nascerebbe unicamente da altra vita, né dal suo contrario, l’abiogenesi, ma dall’improbabile e seducente coesistenza di entrambi. È come, in effetti, se la vita iniziasse nella o dalla pietra ma, al tempo stesso, quest’ultima fosse di per sé in grado di custodire il mistero della vita prima ancora della sua venuta.
« Vint la vie » esordisce, per l’appunto, il sociologo e poeta francese che delle pietre tracciò un singolare inventario: estetico, psichico e mistico a un tempo, e dove le forme complesse del mondo minerale si fanno inedita cartografia dell’immaginario umano.
Ma la vita sembra percorrere l’eterna metamorfosi pensata da Caillois secondo un movimento circolare: la sua origine è anche la sua fine, e così quell’«umidità sofisticata che rompe la perpetuità minerale» e «osa rinunciarvi per l’ambiguo privilegio di fremere, marcire, pullulare», si riacquieta con la morte e, nel susseguirsi di secoli e millenni, si dissolve e si fa fango, per poi indurirsi e ritornare pietra…sotto forma di fossile.
Mi piace pensare che, ne avesse avuta la possibilità, Roger Caillois avrebbe trovato più di un’affinità tra i solenni volteggi del suo pensiero e l’arte, delicata e profonda, di Sarah Jérôme. Tanto le carte oleate quanto le ceramiche di quest’ultima si danno evidentemente come materia – minerale se non già vegetale – che freme, marcisce, pullula, culminando nell’apparizione ora di una colonna vertebrale, ora di un lembo di carne, ora di una figura umana che tuttavia non è mai interamente formata: essa pare, anzi, destinata a essere eternamente indissociata da quell’informe che ne è, a un tempo, origine e fine. E la figura umana – femminile per prima – assume, nel ribollire di questo magma e nelle sue liquorose combustioni, una funzione mitopoietica: raramente essa si dà senza trascinare presso di sé l’antica e vitale presenza del mito, o dell’episodio letterario.
Il fossile è precisamente questo interregno dove il mormorio di mille vite è custodito nella fissità minerale, e da essa trasmesso. Interregno analogo, anch’esso al limite tra l’effimero e il permanente, è quello che noi chiamiamo arte.
Vint la vie : une humidité sophistiquée, promise à un destin inextricable ; et chargée de secrètes vertus, capable de défis, de fécondité. […] Turbulente, spasmodique, une sève, présage et attente d’une nouvelle manière d’être, qui rompt avec la perpétuité minérale, qui ose l’échanger contre le privilège ambigu de frémir, de pourrir, de pulluler.
[…] Naissance de toute chair irriguée d’une liqueur, telle la pommade blanche qui gonfle la boule de gui ; telle, dans la chrysalide, la purée intermédiaire entre la larve et l’insecte, la gélatine indistincte et qui sait seulement trembler, avant que ne s’y éveille le goût d’une forme précise, d’une fonction personnelle.
Rapidement, s’ajoute la première domestication du minéral, les quelques onces de calcaire ou de silice qu’il faut à une matière flottante et menacée pour se construire une protection ou un support : au-dehors, coquilles et carapaces, vertèbres au-dedans, tout de suite articulées, adaptées, usinées dans le moindre détail. Minéraux transfuges, tirés de leur torpeur, apprivoisés à la vie et sécrétés par elle, ainsi frappés de la malédiction de croître – il est vrai, le temps d’un sursis vite expiré.
[…] Une alchimie opiniâtre, usant d’immuables modèles, ménage sans se lasser à une chair toujours neuve un autre asile ou un autre soutien. Chaque abri délaissé, chaque poreuse charpente tombent au long des siècles et des siècles des siècles en une longue pluie de semences stériles. Ils s’étagent en une boue presque toute faite d’eux-mêmes, qui durcit et qui redevient pierre.
Roger Caillois, L’Écriture des pierres, 1970
Roger Caillois chiude L’Écriture des pierres con una breve cosmogonia dal titolo « Entrée de la vie. L’autre écriture ». Qui il Mondo, e in particolare la vita, sembrano trarre origine non tanto nel modello biogenetico, secondo cui la vita nascerebbe unicamente da altra vita, né dal suo contrario, l’abiogenesi, ma dall’improbabile e seducente coesistenza di entrambi. È come, in effetti, se la vita iniziasse nella o dalla pietra ma, al tempo stesso, quest’ultima fosse di per sé in grado di custodire il mistero della vita prima ancora della sua venuta.
« Vint la vie » esordisce, per l’appunto, il sociologo e poeta francese che delle pietre tracciò un singolare inventario: estetico, psichico e mistico a un tempo, e dove le forme complesse del mondo minerale si fanno inedita cartografia dell’immaginario umano.
Ma la vita sembra percorrere l’eterna metamorfosi pensata da Caillois secondo un movimento circolare: la sua origine è anche la sua fine, e così quell’«umidità sofisticata che rompe la perpetuità minerale» e «osa rinunciarvi per l’ambiguo privilegio di fremere, marcire, pullulare», si riacquieta con la morte e, nel susseguirsi di secoli e millenni, si dissolve e si fa fango, per poi indurirsi e ritornare pietra…sotto forma di fossile.
Mi piace pensare che, ne avesse avuta la possibilità, Roger Caillois avrebbe trovato più di un’affinità tra i solenni volteggi del suo pensiero e l’arte, delicata e profonda, di Sarah Jérôme. Tanto le carte oleate quanto le ceramiche di quest’ultima si danno evidentemente come materia – minerale se non già vegetale – che freme, marcisce, pullula, culminando nell’apparizione ora di una colonna vertebrale, ora di un lembo di carne, ora di una figura umana che tuttavia non è mai interamente formata: essa pare, anzi, destinata a essere eternamente indissociata da quell’informe che ne è, a un tempo, origine e fine. E la figura umana – femminile per prima – assume, nel ribollire di questo magma e nelle sue liquorose combustioni, una funzione mitopoietica: raramente essa si dà senza trascinare presso di sé l’antica e vitale presenza del mito, o dell’episodio letterario.
Il fossile è precisamente questo interregno dove il mormorio di mille vite è custodito nella fissità minerale, e da essa trasmesso. Interregno analogo, anch’esso al limite tra l’effimero e il permanente, è quello che noi chiamiamo arte.
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