Nel Vangelo secondo Matteo, Pier Paolo Pasolini sembra voler incastonare la narrazione in una struttura fonica ambigua, composta di una straordinaria colonna sonora, ma anche di una poetica silenziosa abbastanza evidente. Certi capolavori di Johann Sebastian Bach e di Mozart accompagnano lo scorrere di scene tra le più evocative del film – la crocifissione, ad esempio, è affidata alla grandiosa solennità della Musica funebre massonica del genio salisburghese. Assieme alla musica parlano non tanto i dialoghi quanto, paradossalmente, le lunghe scene silenziose che ad essa spesso si mischiano, preludono o subentrano. Poetica del silenzio, si è detto. Perché non anche dialettica? Il silenzio del Vangelo non è solo un artificio estetico: esso è anche e soprattutto portatore di senso, come del resto avviene in ogni religione, dove il concetto di silenzio si sposa direttamente a quello di raccoglimento, di preghiera. Questo silenzio, a un tempo poetico e dialettico, è un terreno comune alle recenti investigazioni di Christian Rainer: le opere in mostra ne compongono una sintesi eloquente e delicatissima. Rainer è artista perfettamente consapevole non solo dei mezzi, conoscitivi e creativi, di cui dispone in prima persona, ma anche di quelli offertigli dall’arte dei suoi giorni. Basti questa considerazione a tracciare il ritratto di un artista che sa (e sa di) essere contemporaneo tra gli antichi, antico tra i contemporanei. È questa una dote rara, indice di un animo attraversato dagli impeti più disparati, appassionati e appassionanti, il cui frutto è una inevitabile poliedricità creativa, sempre gestita con grande maestria. L’opera di Christian Rainer si divide, infatti, tra il video e la fotografia, tra la pittura e il disegno, tra l’installazione e la performance. Sconfina, con esiti raffinatissimi, nella composizione musicale. È un’arte con ambizioni legittime di totalità, un’arte che include l’infinitamente piccolo e l’illimitato, un’arte che mira alla traduzione di studi e concetti in immagini e suoni, attraverso il controllo di un ventaglio assai vasto di medium espressivi. L’insieme delle opere qui presenti non sfugge a questo particolare dinamismo, alla tensione ondivaga fra l’introspezione e il mondo. Ne è un indizio lo stesso titolo della mostra, Il silenzio e la lode, che richiama direttamente all’incipit del Salmo 65: “Per Te il silenzio è lode”. Rainer fa ritorno al tema sacro, da sempre terreno d’esplorazione fra i più battuti nella storia dell’artista, e lo fa con un lavoro sulla celebrazione del Creatore attraverso il Creato. Nel salmo, così come nel titolo, silenzio e lode formano una coppia di opposti, un ossimoro: è pensabile una lode silenziosa? Allontanandosi dall’idea di lode come esaltazione, come celebrazione rumorosa e culto della voce, Rainer preferisce deviare la sua indagine artistica verso quell’immenso alfabeto silente che è la natura: il Creato, per l’appunto, “alfabeto, scala musicale, scacchiera ordinata” secondo l’artista, o ancora, “contenitore di ogni possibile ricetta”. Restituire una forma al silenzio e agli elementi che in esso si celano, riconoscere il posto dell’Uomo all’interno di questo scenario, sono i principi alla base delle opere che compongono il corpus espositivo di questa mostra. Fra queste, un’attenzione particolare è data a tecniche del passato, come la tempera su tavola: in Estinzioni, le storie di Gesù attribuite a Giotto sono minuziosamente riprodotte dall’artista, ma da questi private delle figure umane. In questa precisa invenzione pittorica, i paesaggi si raccontano attraverso ciò che vi è transitato e non è più visibile: la dialettica e l’estetica del silenzio si fanno qui massimamente eleganti ed evocative. Altri supporti tradizionali, impiegati sempre con l’obiettivo di enfatizzare la forte storicità del percorso, sono l’icona (La Porta Regale – San Nicola), la ceramica (Il calcinato e il coagulato) e il ricamo (Crocifissione). In Regola ermetica si assiste, inoltre, all’esecuzione dal vivo di uno spartito su cui è tradotto in musica un passo evangelico. Il corpus è completato dall’uso di resti animali, come la mascella di un merluzzo in Madonna delle milizie di Avola, così come dal video, fra Emicant primae sidera gentis – volta celeste proiettata in forma di corona di stelle – e Ekam, dove virtù umane come trasparenza, illuminazione, sublimazione e riflessione sono interpretate alla luce dei loro equivalenti fisico-naturali. Ennesimo, brillante e raffinato frutto di una volontà creativa capace di sintetizzare in corpi unici – opere d’arte, nella fattispecie – coppie di oggetti, concetti o universali solo apparentemente inconciliabili, svelandone così la sottile complementarità: l’interiore e l’esteriore, lo storico e l’attuale, il microscopico e lo smisurato. Il silenzio e la lode.
Nel Vangelo secondo Matteo, Pier Paolo Pasolini sembra voler incastonare la narrazione in una struttura fonica ambigua, composta di una straordinaria colonna sonora, ma anche di una poetica silenziosa abbastanza evidente. Certi capolavori di Johann Sebastian Bach e di Mozart accompagnano lo scorrere di scene tra le più evocative del film – la crocifissione, ad esempio, è affidata alla grandiosa solennità della Musica funebre massonica del genio salisburghese. Assieme alla musica parlano non tanto i dialoghi quanto, paradossalmente, le lunghe scene silenziose che ad essa spesso si mischiano, preludono o subentrano. Poetica del silenzio, si è detto. Perché non anche dialettica? Il silenzio del Vangelo non è solo un artificio estetico: esso è anche e soprattutto portatore di senso, come del resto avviene in ogni religione, dove il concetto di silenzio si sposa direttamente a quello di raccoglimento, di preghiera. Questo silenzio, a un tempo poetico e dialettico, è un terreno comune alle recenti investigazioni di Christian Rainer: le opere in mostra ne compongono una sintesi eloquente e delicatissima. Rainer è artista perfettamente consapevole non solo dei mezzi, conoscitivi e creativi, di cui dispone in prima persona, ma anche di quelli offertigli dall’arte dei suoi giorni. Basti questa considerazione a tracciare il ritratto di un artista che sa (e sa di) essere contemporaneo tra gli antichi, antico tra i contemporanei. È questa una dote rara, indice di un animo attraversato dagli impeti più disparati, appassionati e appassionanti, il cui frutto è una inevitabile poliedricità creativa, sempre gestita con grande maestria. L’opera di Christian Rainer si divide, infatti, tra il video e la fotografia, tra la pittura e il disegno, tra l’installazione e la performance. Sconfina, con esiti raffinatissimi, nella composizione musicale. È un’arte con ambizioni legittime di totalità, un’arte che include l’infinitamente piccolo e l’illimitato, un’arte che mira alla traduzione di studi e concetti in immagini e suoni, attraverso il controllo di un ventaglio assai vasto di medium espressivi. L’insieme delle opere qui presenti non sfugge a questo particolare dinamismo, alla tensione ondivaga fra l’introspezione e il mondo. Ne è un indizio lo stesso titolo della mostra, Il silenzio e la lode, che richiama direttamente all’incipit del Salmo 65: “Per Te il silenzio è lode”. Rainer fa ritorno al tema sacro, da sempre terreno d’esplorazione fra i più battuti nella storia dell’artista, e lo fa con un lavoro sulla celebrazione del Creatore attraverso il Creato. Nel salmo, così come nel titolo, silenzio e lode formano una coppia di opposti, un ossimoro: è pensabile una lode silenziosa? Allontanandosi dall’idea di lode come esaltazione, come celebrazione rumorosa e culto della voce, Rainer preferisce deviare la sua indagine artistica verso quell’immenso alfabeto silente che è la natura: il Creato, per l’appunto, “alfabeto, scala musicale, scacchiera ordinata” secondo l’artista, o ancora, “contenitore di ogni possibile ricetta”. Restituire una forma al silenzio e agli elementi che in esso si celano, riconoscere il posto dell’Uomo all’interno di questo scenario, sono i principi alla base delle opere che compongono il corpus espositivo di questa mostra. Fra queste, un’attenzione particolare è data a tecniche del passato, come la tempera su tavola: in Estinzioni, le storie di Gesù attribuite a Giotto sono minuziosamente riprodotte dall’artista, ma da questi private delle figure umane. In questa precisa invenzione pittorica, i paesaggi si raccontano attraverso ciò che vi è transitato e non è più visibile: la dialettica e l’estetica del silenzio si fanno qui massimamente eleganti ed evocative. Altri supporti tradizionali, impiegati sempre con l’obiettivo di enfatizzare la forte storicità del percorso, sono l’icona (La Porta Regale – San Nicola), la ceramica (Il calcinato e il coagulato) e il ricamo (Crocifissione). In Regola ermetica si assiste, inoltre, all’esecuzione dal vivo di uno spartito su cui è tradotto in musica un passo evangelico. Il corpus è completato dall’uso di resti animali, come la mascella di un merluzzo in Madonna delle milizie di Avola, così come dal video, fra Emicant primae sidera gentis – volta celeste proiettata in forma di corona di stelle – e Ekam, dove virtù umane come trasparenza, illuminazione, sublimazione e riflessione sono interpretate alla luce dei loro equivalenti fisico-naturali. Ennesimo, brillante e raffinato frutto di una volontà creativa capace di sintetizzare in corpi unici – opere d’arte, nella fattispecie – coppie di oggetti, concetti o universali solo apparentemente inconciliabili, svelandone così la sottile complementarità: l’interiore e l’esteriore, lo storico e l’attuale, il microscopico e lo smisurato. Il silenzio e la lode.
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